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23 gennaio 2012

Underworld - Il risveglio 3D

Un film di Måns Mårlind, Björn Stein. Con Kate Beckinsale, Stephen Rea, Michael Ealy, Theo James, India Eisley. Titolo originale Underworld: Awakening. Azione, durata 88 min. - USA 2012. - Sony Pictures uscita venerdì 20 gennaio 2012.

Locandina Underworld - Il risveglio 3D
Dodici anni dopo l'eccidio che il genere umano ha operato contro vampiri e lycan, Selene si risveglia dalla lunga ibernazione con la quale era tenuta prigioniera dall'azienda biotecnologica Antigen e scopre di aver dato alla luce una figlia. Nata dalla relazione della madre con l'amatissimo Michael, Eve è dunque la prima giovane donna ibrida, con sangue di vampiro e di lycan co-presenti nel patrimonio genetico e poteri eccezionali ancora da scoprire. Eppure, proprio grazie a lei, anche i nemici si sono potenziati e le due si ritroveranno a combattere il più feroce antagonista della saga, un super Lycan geneticamente modificato.
Questa la premessa, che sostanzialmente esaurisce tutta la narrazione rintracciabile nel testo del film, poiché il resto del suo svolgimento è una variazione sul tema unico della lotta, armata o bruta a seconda dei casi ma comunque ultra violenta, lungo una scaletta di livelli che sono geograficamente quelli del palazzo della compagnia biotech e idealmente quelli del videogioco, genere con il quale Underworld intrattiene un rapporto di mutuo soccorso e nutrimento.
Questo quarto capitolo, in occasione del quale la regia passa ad un duo di svedesi specializzati in thriller, si configura come un sequel del sequel (Evolution) e non del prequel del 2009, ma non aggiunge nulla di rilevante sul piano della mitologia delle creature immaginarie in campo né sfrutta appieno le precedenti invenzioni a disposizione, come il “dono” di Corvinus grazie al quale la protagonista può uscire alla luce del sole (o meglio: accade, ma senza un valore né una necessità narrativa, forse solo per evitare che l'oscurità portata dal 3D si aggiunga a quella della notte.) Hanno spazio, invece, due tipi di divertimento: quello puramente ludico, appunto, favorito dall'accompagnamento musicale adrenalinico, dai virtuosismi acrobatici della Beckinsale e dall'aumentare progressivo delle dimensioni della sfida, e quello più disincantato e ironico, per cui non si può non ridere di un'attrice che non chiude mai la bocca (plausibilmente per una questione di dentatura finta, utilizzata in chiave sexy). Più in astratto, fanno sorridere e riflettere gli ingredienti di questa serie (e di molte altre simili) che mescolano horror sanguinolento e mélo usurato come si trattasse di soap-operas in latex nero. Della soap, tra le altre cose, Underworld 4 ripropone senza modifiche l'idea di lunga serialità (superando la formula della trilogia) e, naturalmente, il finale aperto.

The Help

Un film di Tate Taylor. Con Emma Stone, Viola Davis, Bryce Dallas Howard, Octavia Spencer, Jessica Chastain. Drammatico, Ratings: Kids+16, durata 137 min. - USA 2012. - Walt Disney uscita venerdì 20 gennaio 2012.

Locandina The Help
Jackson, Mississippi. Inizio degli Anni Sessanta. Skeeter si è appena laureata e il primo impiego che ottiene è presso un giornale locale in cui deve rispondere alla posta delle casalinghe. Le viene però un'idea migliore. Circondata com'è da un razzismo tanto ipocrita quanto esibito e consapevole del fatto che l'educazione dei piccoli, come lo è stata la sua, è nelle mani delle domestiche di colore, decide di raccontare la vita dei bianchi osservata dal punto di vista delle collaboratrici familiari ‘negre' (come allora venivano dispregiativamente chiamate). Inizialmente trova delle ovvie resistenze ma, in concomitanza con la campagna che una delle ‘ladies' lancia affinché nelle abitazioni dei bianchi ci sia un gabinetto riservato alle cameriere, qualche bocca inizia ad aprirsi. La prima a parlare è Aibileen seguita poi da Minny. Il libro di Skeeter comincia a prendere forma e, al contempo, a non essere più ‘suo' ma delle donne che le confidano le umiliazioni patite.
Va detto innanzitutto che è stato meritato il riconoscimento andato ai Golden Globe a Octavia Spencer per il ruolo di Minny e che il film ne meriterebbe molti altri, soprattutto sul piano delle interpretazioni. Film corale al femminile (gli uomini hanno ruoli del tutto secondari) ispirato al romanzo omonimo di Kathryn Stockett (grande successo negli Stati Uniti) The Help ha il pregio di costituire un'efficace ossimoro. È tanto attuale quanto old style. Perché vedendolo la memoria va a film come La lunga strada verso casa, 1990, che vedeva Sissy Spacek (presente anche qui) al fianco di Whoopi Goldberg. La ricostruzione filologicamente correttissima di abiti, ambienti e comportamenti potrebbe rischiare di mangiargli l'anima traducendolo nell'ennesima rivisitazione dei tempi in cui Martin Luther King aveva un sogno e John Fitzgerald Kennedy se lo vedeva stroncare a Dallas. Ma proprio in quella che potrebbe essere la sua apparente debolezza sta la forza di un film che riproponendoci un passato apparentemente così lontano ci fa ‘sentire' (potremmo dire quasi ‘fisicamente') che la sottile, insidiosa linea rossa (per dirla alla Malick visto che qui la Chastain offre un'ulteriore prova del suo eccellente trasformismo recitativo) che separa l'integrazione razziale dal rifiuto non ha interrotto il suo percorso. Mentre osserviamo le vicende dell' “ieri” ci viene da chiederci se quei problemi siano stati risolti una volta per tutte e non solo negli States. La risposta è purtroppo negativa.
Una sensazione di rabbia impotente promana dallo schermo quando si assiste a soprusi mascherati dal bon ton così come all'emarginazione di chi, dalla parte di chi ha la pelle meno scura, osa ‘disturbare' un quieto vivere che per conservarsi tale ‘deve' ignorare i diritti di persone dal cui lavoro dipende il proprio benessere. È un film privo di raffinatezze linguistiche quello di Taylor e quindi forse per questo destinato a piacere poco alla critica ‘impegnata' (anche se ovviamente speriamo di essere smentiti). Tra i vari pregi ha però anche quello di ricordarci che la parola (detta e scritta) ha sempre avuto un valore di riscatto. Prima di rischiare di disperdersi nei talk show.

Happy Feet 2 in 3D

Un film di George Miller (II). Con Robin Williams, Matt Damon, Brad Pitt, Elijah Wood, Magda Szubanski. Titolo originale Happy Feet Two. Animazione, Ratings: Kids, durata 100 min. - Australia 2011. - Warner Bros Italia uscita venerdì 25 novembre 2011.

Locandina Happy Feet 2 in 3D
Mambo è cresciuto a pesci e tip tap, ha sposato Gloria e adesso è padre apprensivo di Erik, un cucciolo che sogna due ali per volare e una voce per cantare. Goffo e maldestro, Erik è diverso dagli altri pinguini, non canta, non balla e non sembra trovare il suo posto nel mondo. Fuggito da casa incontra Sven, un pinguino molto speciale, col becco grosso e due ali adatte al volo. Predicatore cialtrone di mistica e di fumo, Sven colpisce la fantasia di Erik e ne diventa figura di riferimento. Raggiunto da Mambo, Erik si lascia convincere a malincuore a tornare indietro. Il mondo intorno a loro intanto si sta trasformando, l'innalzamento delle temperature e lo scioglimento dei ghiacciai hanno compromesso la sicurezza dei pinguini imperiali. Sulla strada verso casa, Erik troverà la sua canzone e Mambo imparerà il mestiere del genitore, salvando creativamente Gloria e tutti i suoi compagni. Lo aiuteranno nell'impresa i colossali elefanti marini e i minuscoli krill.
Cinque anni e un Oscar fa, Mambo era un piccolo pinguino col vizio del tip tap e alla ricerca della propria iniziazione alla vita. Ballerino in un mondo di cantanti virtuosi, Mambo cresce e diventa padre di un pinguino altrettanto ‘diverso' ma altrettanto ostinato a realizzarsi. A 'formare' il giovane Erik ci pensa ancora una volta George Miller, produttore, sceneggiatore e regista di animali che pensano e agiscono come persone. Come fu per Babemaialino coraggioso che voleva diventare cane pastore, per l'anatra che si sognava gallo, per il pinguino che studiava da ballerino, allo stesso modo Erik aderisce alla poetica dell'autore australiano ‘differenziandosi' e divergendo dalla 'legge' del gruppo di appartenenza. Ma se per Mambo la danza era un'inclinazione naturale e irrinunciabile dentro una società gerarchizzata dove il suo cambiamento diventerà strumento di riconoscimento, per suo figlio le cose sembrano andare diversamente. Erik vuole modificare la propria natura e vive la propria ‘pinguinità' come un limite. Ma davvero senza ali non si può volare? Più adolescenziale che infantile, 'il ragazzo' disobbedisce tenacemente. La sua indisciplinatezza sfida le competenze paterne e cerca altrove, in un 'pulcinella' (di mare) qualsiasi, l'esempio da imitare. Saranno l'imprevedibilità della vita, l'onda anomala di uno tzunami e i rovesci di un terremoto a ravvedere Erik e a invitarlo a guardare con sguardo indulgente e finalmente ammirato quel genitore impacciato ma fortemente impegnato a diventare un padre migliore. Diversamente dal passato i papà sono più accudenti e coinvolti nell'esistenza dei propri figli al punto da diventare argomento eletto dell'animazione, che 'disegna' sempre più spesso padri distintivi e amorevoli.
Insieme a Cattivissimo me e Kung Fu PandaHappy Feet 2 mette in schermo padri adottivi o naturali che producono valori, pongono limiti e insegnano alla propria prole ad affrontare la vita adulta, abbinando alla funzione normativa quella affettiva. Se la Disney con Il Re leone introdusse per prima la ‘presenza' paterna, Mufasa, dominante e democratico, resta un genitore incoerente e ‘interrotto'. Mambo è padre di un altro ‘inverno', di un cambiamento sociale, di una rivoluzione culturale, di una diversa specie, naturalmente portata alle attività di accudimento primario dell'infanzia. ‘Covare' il suo Erik ha fatto di Mambo un padre materno che ha rinnovato il concetto tradizionale di virilità e autorevolezza. Il potenziamento della figura paterna non ha depotenziato comunque quella materna di Gloria, madre affettuosa e consapevole dei rispettivi ruoli. Ancora una volta Miller sposa la musica e realizza un ambizioso progetto danzato, riconfermando ecologismo, diversità e tridimensionalità. Tra rock e rap, pop e hip hop, jodel e melodramma (lirico), Erik intonerà la romanza di Puccini ("E lucevan le stelle") facendo rimpiangere la metrica perfetta di Giacosa e Illica, Happy Feet 2 canta e coreografa con meno incisività il palcoscenico antartico. Spettacolare nella profondità dell'oceano e del 3D è invece il mondo di sotto, ‘battuto' dai gregari Will e Bill, krill leggiadri che, sviluppando una storia parallela alla maniera di Scrat, si improvvisano predatori e risalgono la catena alimentare. Perché nelle produzioni ‘polari' di Miller i pinguini possono volare alto e gli invertebrati eseguire coreografie felpate che ‘spaccano'.

L'ora nera

Un film di Chris Gorak. Con Emile Hirsch, Olivia Thirlby, Max Minghella, Rachael Taylor, Joel Kinnaman. Titolo originale The Darkest Hour. Thriller, Ratings: Kids+13, durata 89 min. - USA 2011. - 20th Century Fox uscita venerdì 20 gennaio 2012.

Locandina L'ora nera
Atterrati a Mosca con la prospettiva di vendere un'innovativa applicazione per telefoni cellulari a dei magnati russi, i due giovani programmatori Sean e Ben scoprono che un collega svedese si è appropriato dell'idea e ha concluso l'affare prima di loro. Per consolarsi, decidono di passare la serata in uno dei locali più glamour della capitale, dove stringono amicizia con due turiste americane. Fra una vodka e l'altra, all'improvviso la città viene paralizzata da un gigantesco black out e dal cielo cominciano a scendere degli strani fasci di luce. Una volta toccata la terra, questi bagliori si fanno invisibili e iniziano a disintegrare uno ad uno tutti gli umani che si trovano di fronte, seminando in tutta la città panico e distruzione.
C'è un proverbio inglese che dice: “The darkest hour is just before dawn” (“L'ora più nera è quella che precede l'alba”). È un modo poetico per dire che c'è sempre un barlume di speranza anche nelle situazioni peggiori. Ma è anche una buona sintesi per comprendere il tipo di intrattenimento che offre L'ora nera: classico b-movie che, in fondo al buio pesto della sua trivialità, rivela qualche scintilla d'ironia e qualche guizzo di intelligenza. E che chiede ben presto di non fermarsi alla sua superficie grossolana e ai suoi personaggi ai limiti del sopportabile, ma di cogliere dietro a quell'ingenuità catastrofica un insieme di riferimenti godibili alla fantascienza del passato e alla cultura giovanile del presente.
Non è certamente un caso, infatti, se uno dei generi che ha catalizzato per anni le paure anti-sovietiche nella cultura popolare americana decida di sbarcare proprio in Russia. Così come pare un curioso contrappasso che “le cose” venute dallo spazio attacchino una capitale dominata da marchi e loghi di multinazionali in variante cirillica, o che a garantire la sopravvivenza della specie siano alla fine dei vecchi sottomarini della Guerra Fredda. Il fatto è che in questa sorta di Blob dell'era digitale e post-comunista, gli alieni non sono neanche più interessati agli umani. Niente masse gelatinose e antropofaghe, né forze extra-terrestri decise a sostituirsi a noi mentre dormiamo. Solo una serie di fasci invisibili sensibili ai conduttori elettromagnetici e interessati a nutrirsi di tutti quegli elementi che alimentano la nostra tecnologia.
Per questo la tecnologia è ovunque ne L'ora nera: dalle application per gli smartphone fino a un campo di battaglia finale delimitato da dei telefoni cellulari. Perché solo nel buio della fantascienza per adolescenti più dozzinale si può realizzare un tale nuovo corto circuito fra vecchi immaginari. Lo sa bene Timur Bekmambetov (WantedI guardiani della notte) che, dopo aver riscritto in ipotetica versione orrorifica l'impresa dell'Apollo 18, si conferma produttore di sottogeneri retrospettivi che guardano alla competizione fra sovietici e americani come a un lungo b-movie da drive-in.
In questo nuovo contesto, i mostri diventano quelli che cercano di espropriarci delle nuove tecnologie, contro i quali l'unico rimedio per proteggersi è schermarsi dietro una teca di vetro. O, ancora meglio, dentro un Apple Store.

Benvenuti al Nord

Un film di Luca Miniero. Con Claudio Bisio, Alessandro Siani, Angela Finocchiaro, Valentina Lodovini, Nando Paone. Commedia, durata 110 min. - Italia 2012. - Medusa uscita mercoledì 18 gennaio 2012.

Locandina Benvenuti al Nord
Alberto Colombo, brianzolo impiegato alle poste, ha finalmente ottenuto la promozione e il trasferimento a Milano. Il Sud, in cui è stato benvenuto e benvoluto, sembra adesso un ricordo lontano che Mattia, indolente compagno meridionale, risveglia col suo arrivo improvviso. Perché la relazione con la bella Maria sta naufragando a causa della sua immaturità e di un mutuo procrastinato. Deciso a dimostrare alla consorte di essere un uomo responsabile, Mattia si lascia contagiare dall'operosità milanese finendo per fare brunch e carriera sotto la Madunina. Alberto intanto, promosso direttore e occupato full time, trascura la moglie che finirà per lasciarlo. Sedotti e abbandonati si rimboccheranno le maniche e proveranno a riprendersi la famiglia e una vita migliore in un'Italia senza confini e campanilismi.
La nuova commedia italiana non è più interessante della vecchia, quella dei cinepanettoni per intenderci, ma mette in luce delle diversità rispetto a una scena comica affezionata a modelli tenaci e incrollabili. Archiviati i luoghi esotici, il Nord e il Sud del Belpaese diventano il territorio da occupare, rilanciando con forza e risate l'unità nazionale. Unità sponsorizzata dall'efficienza delle poste italiane, dalla velocità alta delle sue ferrovie e dalla praticabilità delle sue autostrade, che esprimono la dinamicità di personaggi sempre diversi da com'erano al principio o al ‘casello' di partenza. Tra una raccomandata e una Freccia rigorosamente rossa si fa l'Italia e si fanno gli italiani, incarnati da Claudio Bisio e Alessandro Siani, di nuovo alle prese coi cliché regionali, poi messi in discussione, superati e rimpiazzati con altri più abusati. Dopo il meridione di Castellabate, spetta al settentrione milanese essere declinato in stereotipo. In direzione ostinata ma contraria, Benvenuti al Nord serializza il format francese a firma Dany Boon (Giù al Nord) e intraprende un viaggio prevedibile verso il ‘freddo' capoluogo lombardo, che si rivelerà neanche a dirlo altrettanto accogliente e gioioso.
Congedato Massimo Gaudioso e arruolato Fabio Bonifacci, la commedia di Luca Miniero riprende il benvenuto scorso con pochissime novità, riconfermandone la perfetta calibratura, gli ingredienti e i protagonisti sempre radicati nei tempi e nei ritmi degli sketch televisivi. Se il personaggio di Bisio scopriva a Sud il sole e il mare, la bonarietà e l'ospitalità della sua gente, quello di Siani imparerà il fascino della nebbia, sparata artificialmente, e il senso civico del milanese, che lava le strade di notte, combatte le polveri sottili, mette il casco in moto, in bicicletta e sul lavoro. Un anno trascorrerà tra happy hour e happy night, prima che il Mattia, perché il milanese ammette l'articolo determinativo davanti al nome proprio, possa trovare la maturità e ritrovare la sua procace Maria.
Benvenuti al Nord, come il precedente capovolto, è soltanto una favola che promette di incrinare la tenuta degli stereotipi nell'immaginario collettivo mentre li conferma, che reitera modalità (ri)creative e produttive, che costruisce tutto sulla parola e niente sull'idea di visione. Se Bisio e Siani non fanno una stella, sprovvisto di profondità (e fisionomia) drammatica il primo, epigono sbiadito dello stupore malinconico di Troisi il secondo, Paolo Rossi produce un firmamento interpretando (ancora una volta dopo RCL) il ‘metodo Marchionne'. Corpo solista si incarica di riempire una scatola vuota con la deflagrazione della sua comicità mimica e verbale.

Volver - Tornare

Un film di Pedro Almodóvar. Con Penelope Cruz, Carmen Maura, Lola Dueñas, Blanca Portillo, Yohana Cobo. Drammatico, durata 120 min. - Spagna 2006. uscita venerdì 19 maggio 2006. - VM 14 

Locandina Volver - Tornare
Raimunda, una giovane madre de la Mancha, trova rifugio dal suo passato a Madrid, dove vive col suo compagno Paco e la figlia adolescente, Paula. Durante un tentativo di abuso da parte del patrigno, Paula lo pugnala a morte. Scoperta la tragedia, Raimunda 'abbraccia' la figlia e la legittima difesa, coprendo l'omicidio e occultando il cadavere. Questo evento disgraziato rievoca fantasmi dolorosi e mai svaniti. Dall'aldilà torna Irene, sua madre, a chiederle perdono e a riparare la colpa.
A tornare in questo film di Almodóvar, come suggerisce il titolo, sono anche le sue attrici: ritorna Carmen Maura, non più donna sull'orlo di una crisi di nervi ma fantasma sull'orlo dell'aldiquà; ritorna Penélope Cruz, figlia e madre dopo Tutto su mia madre. Qualcuno ritorna e a qualcosa si ritorna: al cinema degli esordi, Che ho fatto io per meritare questo?, film di ambientazione popolare così prossimo a Volver, dove Carmen Maura esasperata uccideva il marito fedifrago; alla terra, la Mancha, regione dei mulini a vento e del picaresco su cui soffia incessantemente il solano, il vento dell'ovest che rende pazzi e che incendia boschi e cuori. Terra mancega, che ha generato Almodóvar, per un film mancego, che ha concepito cinque profili femminili rivelatori, in atto o anche solo in potenza, della grazia della maternità. Condizione femminile che comprende simultaneamente il materno e il natio, l'origine, il luogo in cui tutto comincia e a cui tutto ritorna. Madri, figlie e sorelle che bussano alla porta accanto dove trovano vicine generose e singolari come Augustine, che non manca mai di soccorrere, di solidarizzare e di contribuire all'economia anche affettiva della famiglia protagonista. Le donne sembrano bastare e bastarsi in questo film al femminile, dove gli uomini sono portatori di un dolore ancestrale che impongono incuranti a mogli, figlie e nipoti. Almodóvar le riunisce tutte insieme, chiamandole al di qua dall'aldilà, intorno ai tavoli, lungo i fiumi, dal parrucchiere, affinché i morti assistano i vivi, affinché le madri accudiscano le proprie figlie, "bellissime", come quella viscontiana della Magnani che Carmen Maura guarda alla televisione. Una stella per la grazia creativa di Almodóvar, un'altra per la "resurrezione" di Carmen Maura e due per gli occhi neri di Penélope, quando lacrimano e quando si colmano senza versarsi.

Tomboy

Un film di Céline Sciamma. Con Zoé Héran, Malonn Lévana, Jeanne Disson, Sophie Cattani, Mathieu Demy. Drammatico, durata 84 min. - Francia 2011. - Teodora Film uscita venerdì 7 ottobre 2011

Locandina Tomboy
Laure, dieci anni, insieme ai genitori e alla sorella Jeanne si trasferisce durante le vacanze estive. La mamma è incinta del terzo figlio (un maschio) e il padre è impegnato al lavoro. La bambina approfitta della distrazione degli adulti per prendere una decisione: nel nuovo ambiente si farà credere un maschio. E' come Michael che farà le prime amicizie e, in particolare, attirerà l'attenzione di Lisa che finirà con l'innamorarsi del nuovo arrivato con il quale scambierà qualche bacio e momenti mano nella mano. Fino a quando potrà durare questa situazione? Céline Sciamma torna ad affrontare, dopo Water Lilies, le tematiche della scoperta della sessualità spostando però l'attenzione dalla fase adolescenziale a quella preadolescenziale. Trova in Zoé Héran l'interprete adatta per rappresentare, con la giusta dose di innocenza mista a un bisogno di esplorare, il cammino estivo di Laure. Sciamma osserva il microcosmo dei bambini con tenerezza e acume ma senza facili semplificazioni. Maschi e femmine in formazione non sono quegli esseri asessuati che gli adulti vorrebbero che fossero. Natura e società impongono le loro leggi e, in particolare la società, i loro modelli con cui confrontarsi e scontrarsi. Perché spesso sono più legati a stereotipi che a veri bisogni. Così Laure mentre decide di trasgredire facendosi passare per maschio finisce inconsciamente per aderire a quelle che ritiene debbano essere necessariamente le caratteristiche dell'altro sesso. Céline Sciamma, nel descrivere Laure, va oltre quella che avrebbe potuto costituire la gabbia episodica di un racconto di travestimento infantile e lascia lo spettatore con domande più ampie intorno alla definizione della sessualità propria di ogni individuo. In definitiva spetta a noi decidere se quell'estate sarà solo una parentesi nella vita della bambina oppure se ne segnerà il futuro.

Sono viva

Un film di Dino Gentili, Filippo Gentili. Con Giovanna Mezzogiorno, Massimo De Santis, Guido Caprino, Giorgio Colangeli, Marcello Mazzarella. Drammatico, durata 87 min. - Italia 2008. - Iris Film Distribution uscita venerdì 28 maggio 2010

Locandina Sono viva
Rocco ha trent'anni e una vita precaria. Lontano da una famiglia importuna e unito a una compagna pretenziosa, si trascina tra lavori occasionali e il divano, cercando il modo e il denaro per pagare debiti, mutuo e bollette. Una notte corrisponde l'offerta di un impiego ben retribuito e segue l'amico Gianni in una villa fuori città, dove accetta di vigilare il corpo senza vita di Silvia Resti, una giovane donna morta prematuramente. Colpito dalla grazia di quelle spoglie e dal mistero che le circonda, Rocco è deciso a indagare sulla morte della ragazza e a interrogare amici e familiari che affollano la villa in cui è deposta. La notte e la lunga veglia riveleranno a Rocco verità nascoste e un ritorno possibile alla vita.
Opera prima dei fratelli Gentili, Sono viva è un noir che mette in scena la morte e al centro della narrazione un corpo morto. Se la tradizione cinematografica ha "rianimato" i morti nella forma dello zombi o di un fantasma, rappresentandone la bruttezza fatta di putrefazione e orrore, Dino e Filippo Gentili parlano di corpi veri e ne celebrano la bellezza, esorcizzando il terrore per il cadavere. La morte è un soggetto percorso da molto cinema contemporaneo ma il suo sfuggente valore narrativo e il suo intimo potere suggestivo lo rendono uno dei pochi temi sui quali ogni film può aggiungere qualcosa. Se il giallo è una delle tracce (e dei colori) del plot, la vera suspense interessa la solitudine e la precarietà di chi, vivo, misura il proprio amore e la propria forza rispetto al silenzio di chi è ormai al di là del confine.
Al di qua della vita c'è l'operaio introverso di Massimo De Santis, che interagisce con un corpo che ha cessato di essere ma che torna ad agire indirettamente la vita dei vivi. Silvia è il ricettacolo che conserva i pensieri di un padre ingombrante e tirannico, di un fratello debole e guastato, di un fidanzato inadeguato e litigioso. Accomodata nel cuore della scena e in quello dei suoi disturbati familiari, Silvia è indubbiamente viva, è la tessera principale di un elegante, ben congegnato e molto cerebrale mosaico affettivo e psicologico, che ha come esito il ritorno (metaforico) alla vita del protagonista dopo il confronto con la carne di una vita inanimata. Gli sceneggiatori Gentili, promossi alla regia, girano un film di genere che circoscrive l'azione in una casa, o meglio in una stanza della casa, e che misura le alterazioni narrative a partire dalla densa presenza di una dipartita che tutto lascia immaginare.
Morte coniugata al femminile che contagia progressivamente Rocco, finalmente aperto a una rinnovata disponibilità affettiva. Sono viva è un esordio di pregio che colora (di giallo) il cinema italiano, che ha grandi e solide doti (anche per merito degli interpreti), che ardisce "parlare con Lei", riattivando la potenza del femminile e rendendole giustizia.

MacGruber

Un film di Jorma Taccone. Con Val Kilmer, Bill Hader, Kristen Wiig, Ryan Phillippe, Maya Rudolph. Azione, - USA 2010.

Locandina MacGruber
Nei dieci anni dall'uccisione della sua fidanzata, l'agente speciale MacGruber ha giurato per la vita di combattere il crimine con le sue sole mani. Ma quando scopre che il suo paese ha bisogno di lui per trovare una testata nucleare che è stata rubata dal suo acerrimo nemico Dieter Von Cunth, MacGruber scopre di essere l'unico duro abbastanza per il lavoro. Dopo aver assemblato un team di esperti: il tenente Dixon Piper e Vichi St. Elmo, MacGruber navigherà tra un'armata di assassini per cacciare Cunth e portarlo alla giustizia. I suoi metodi possono sembrare non ortodossi, le sue scene del crimine potrebbero diventare disordinate, ma se si vuole salvare bene il mondo, si chiama MacGruber.

Gorbaciof

Un film di Stefano Incerti. Con Toni Servillo, Yang Mi, Geppy Geijeses, Gaetano Bruno, Hal Yamanouchi. Drammatico, durata 85 min. - Italia 2010. - Lucky Red uscita venerdì 15 ottobre 2010

Locandina Gorbaciof
Marino Pacileo, detto Gorbaciof a causa di una vistosa voglia sulla fronte, è il contabile del carcere napoletano di Poggioreale. La sue passioni sono il gioco d'azzardo e la giovane Lila, figlia del cinese che mette a disposizione il tavolo per le carte. Quando scopre che l'uomo ha contratto un debito che non può pagare, Gorbaciof decide di prendersi cura della ragazza e, per farlo, dapprima sottrae dei soldi dalla cassa del carcere poi accetta di partecipare ad altre, più pericolose, attività.
La settima regia cinematografica di Stefano Incerti è un film che, per alcuni connotati, si direbbe un esordio. Non è così, ma la gestazione è durata degli anni e il partorito, suo malgrado, reca le tare della sofferenza fetale. Ma torniamo ai connotati. Il film è costruito interamente attorno al protagonista, un personaggio studiato nei dettagli, piazzato dentro un intreccio codificato e riconoscibile, che permette da un lato l'esercizio di stile - certamente riuscito - e, dall'altro, ribadisce l'esistenza di una proficua via italiana al genere, ricca di sfumature inedite, ancora tutte da esplorare.
C'è un largo territorio comune tra gangster movie americano e noir metropolitano orientale, fatto di antieroi di pochissime parole, votati al passo falso quando fa capolino una donna vera, e di retrobottega odoranti di fritto, di vicoli per le botte, di debiti che si gonfiano e di sogni folli che puntano ancora più in alto. Incerti e lo sceneggiatore Diego De Silva trovano “l'America” e Hong Kong a Napoli, nei quartieri realmente abitati dagli immigrati orientali e dove la corruzione e la violenza hanno delle radici e una tradizione. Ma Napoli ha anche qualcosa in più: la maschera, la commedia, lo spirito della ribellione e della beffa. Toni Servillo si fa carico interamente di questo aspetto: con la sola mimica del volto, il modo di vestirsi e di camminare, crea immediatamente un “tipo”, che inghiotte il film in un sol boccone. Meglio così.
Di Gorbaciof, che viene alla luce in ritardo cronico, dopo Gomorra e Le conseguenze dell'amore , si ricorderà dunque la virtuosa variazione sul tema di Servillo, che fa davvero l'impossibile per uscire dai personaggi dei film citati ed entrare in uno troppo poco dissimile, ma si farà meglio a dimenticare il resto: i movimenti di una cronaca annunciata, le smorfie di un'attrice a cui non viene chiesto che di mettersi in posa, un finale faticosamente tollerabile, che spaccia per ironica la sorte più prevedibile e per lirico un epilogo ormai buono solo per le soap. Almeno il rumore dell'aereo, ce lo saremmo risparmiato.

City Island

Un film di Raymond De Felitta. Con Andy Garcia, Julianna Margulies, Steven Strait, Emily Mortimer, Ezra Miller. Commedia, Ratings: Kids+13, durata 100 min. - USA 2009. - Mikado uscita venerdì 25 giugno 2010.

Locandina City Island
Vince Rizzo è una guardia carceraria che nutre il segreto desiderio di recitare. Segreto che non ha rivelato neppure a sua moglie Joyce la quale sospetta che quando lui dice di andare a giocare a poker (mentre va a un corso di recitazione) in realtà incontri un'amante. In famiglia anche gli altri membri custodiscono segreti: il figlio adolescente Vince Jr. ha una passione per le donne obese mentre la figlia, che è via da casa per studiare grazie a una borsa di studio, fa lo strip tease. Le cose si complicano quando Vince fa uscire dal carcere sotto la sua tutela un ragazzo che ha scoperto essere suo figlio. Qualcuno però potrebbe aiutarlo a dire finalmente la verità. È la compagna di recitazione Molly. Che però custodisce a sua volta un segreto difficile da confessare.
Se si pensa al plot di base di City Island si può credere che si tratti di un melodramma a tinte forti che sfrutta l'”italianità” del suo protagonista. Non è così. O, meglio, il melodramma ha la sua parte (dichiarata anche esplicitamente da un'aria della “Carmen” di Bizet) soprattutto nel sottofinale che è recitato volutamente in toni esasperati. Per il resto del film invece veniamo condotti per mano in una rivisitazione intelligente di situazioni classiche del cinema (prima fra tutte quella del nuovo arrivato che si trova a sconvolgere una situazione già in equilibrio precario) con accenti che sfiorano la descrizione di nuclei familiari border line cara aTodd Solondz in particolare nel ruolo di Vince Jr.. Le piccole frustrazioni, il non detto che si instaura in una coppia che pure al fondo ha ancora elementi che la potrebbero far procedere positivamente, la possibilità di un'amicizia vera e profonda tra un uomo e una donna.
Questi ed altri sono i temi che vengono affrontati con la giusta dose di leggerezza e di malinconia per le occasioni che quotidianamente si perdono per paura di essere feriti nell'intimo. Se poi si aggiunge che si può anche assistere a una scena in cui Andy Garcia, aspirante attore, va a un'audizione per un film di Scorsese con De Niro protagonista allora si può star certi che è garantita anche una giusta dose di divertimento. City Island, senza essere un capolavoro, può valere una visita.

Exit: una storia personale

Un film di Massimiliano Amato. Con Luca Guastini, Nicola Garofalo, Marcella Braga, Paolo Di Gialluca, Antonio Calamonici. Drammatico, durata 85 min. - Italia 2010.

Locandina Exit: una storia personale
Roma. Marco vive una vita molto diversa da quella dei suoi coetanei. Non ha famiglia, non va all'università e non ha un lavoro. Vive in una comunità di giovani psicotici, dove frequenta un trattamento di supporto, e il suo unico legame con il mondo esterno è suo fratello Davide. Dopo il suicidio del suo compagno di stanza, Marco scivola in una profonda crisi. Chiede al fratello Davide di accompagnarlo in Olanda per pianificare un suicidio assistito. Davide, abituato ai delirii di suo fratello, non prende in considerazione la sua richiesta.
Il giorno dopo la discussione, Marco scappa dalla comunità e prende il treno per Amsterdam con l'intenzione di svolgere la sua missione, disperata o folle, a seconda dei punti di vista…

Costretti a uccidere

Un film di Antoine Fuqua. Con Mira Sorvino, Chow Yun-Fat, Michael Rooker, Jürgen Prochnow Titolo originale The Replacement Killers. Thriller, durata 86 min. - USA 1988.

Locandina Costretti a uccidere
Quando si rifiuta di uccidere un poliziotto padre di famiglia, sicario diventa il bersaglio mobile per i suoi mandanti criminali. Nella fuga lo soccorre una vispa falsaria. 1° film USA per Chow Yun Fat, scattante e atletico divo del cinema d'azione di Hong Kong. Mal servito da un copione che è una sagra dei luoghi comuni, delude anche lui. Il suo compatriota John Woo, regista di non pochi meriti, figura come produttore esecutivo. Film di serie B a tutti i livelli.

Tristana

Un film di Luis Buñuel. Con Catherine Deneuve, Fernando Rey, Franco Nero Drammatico, durata 105 min. - Spagna 1970.

Locandina Tristana
A Toledo nel 1929 un'orfana viene affidata a un anziano tutore che ne fa la sua amante. Innamoratasi di un pittore fugge con lui, si ammala, perde una gamba attaccata dalla cancrena, ritorna e accetta di sposare il vecchio. Gliela farà pagare. Tratto, come Nazarín, da un romanzo (1892) di Benito Pérez Galdós, è la storia impietosa di una liberazione mancata e di un'opera di corruzione in cui la vittima, imparata la lezione di ipocrisia e crudeltà, si trasforma in carnefice. “La complessità stilistica si riflette ... nella poliedricità dei due personaggi principali” (G. Tinazzi). Soltanto una sequenza onirica in questo film ammirevole per la calma lentezza della sua concisione che, nella trasparenza di un equilibrato e oggettivo classicismo, stimola, affascinandola, la curiosità dello spettatore.

Rio Lobo

Un film di Howard Hawks. Con John Wayne, Christopher Mitchum, Jennifer O'Neill, Jack Elam, Mike Henry. Western, durata 114 min. - USA 1970.

Locandina Rio Lobo
Finita la Guerra Civile, il colonnello nordista McNally si allea con due ex nemici sudisti per rintracciare due nordisti traditori. Uno dei due è ucciso con l'aiuto di Shasta, giovane girovaga. L'altro è diventato un ras di Rio Lobo dove, con la complicità di uno sceriffo corrotto, sta espropriando le terre dei contadini. L'ultimo film di H. Hawks chiude la trilogia cominciata da Un dollaro d'onore (1959) e proseguita con El Dorado (1967). È un western malinconico, stilisticamente stanco e serenamente pessimista: “Nemmeno la morte dell'Ovest riesce a diventare un mito, e le ombre che si vedono sono solo quelle della società anni Settanta, che ha scoperto l'orrore, e che si rassegna a dire addio ai suoi eroi” (B. Gresti). Il motivo della deturpazione dei volti è sintomatico. Scritto da Burton Wohl e Leigh Brackett.

Mannequin

Un film di Michael Gottlieb. Con Andrew McCarthy, Kim Cattrall, James Spader Commedia, durata 89 min. - USA 1987.

Locandina Mannequin

Dopo vari mestieri, giovane ambizioso fabbrica manichini presso una ditta dove fa anche il vetrinista. Uno dei manichini si anima e assume le sembianze di una principessa egiziana. Tra i due è felicità amorosa. Favoletta che vorrebbe fare il verso alla commedia americana degli anni '40. Seguito da Aiuto! Mi sono persa a New York.

Action Man. X Missions. Il film

Un film di Dale Carman, Keith Lango. Ragazzi, - USA 2005.

Locandina Action Man. X Missions. Il film
Action Man, il piú grande eroe del mondo, affronta la sua missione piú difficile contro il malvagio Dr. X che, combinando il dna di animali feroci e di esseri umani, ha creato una terrificante armata di pericolosi combattenti. Una volta scoperto il piano per Action Man e la sua squadra inizia una corsa contro il tempo per sventare questa minaccia mortale

Next Avengers - Gli eroi di domani

Un film di Jay Oliva. Con Noah Crawford, Brenna O'Brien, Tom Kane, Aidan Drummond, Dempsey Pappion. Formato Film TV, Titolo originale Next Avengers: Heroes of Tomorrow. Animazione,Ratings: Kids, durata 78 min. - USA 2008.

Locandina Next Avengers - Gli eroi di domani
Dopo che gli Avengers si sono sacrificati per riuscire a sconfiggere il robot Ultron, Tony Stark (Iron Man), sopravvissuto, decide sia arrivato il momento di chiamare in casusa i figli dei paladini dell’umanità - nel frattempo allevati e addestrati - per proseguire il lavoro dei loro genitori. I ragazzi si trovano così a fare i conti con grandi responsabilità, ma prima di entrare in gioco provano a rintracciare Bruce Banner (l'incredibile Hulk), altro sopravvissuto tra gli originali Avengers.

18 gennaio 2012

Paranormal Activity 3

Un film di Ariel Schulman, Henry Joost. Con Katie Featherston, Sprague Grayden, Lauren Bittner, Christopher Nicholas Smith. Horror, durata 84 min. - USA 2011. - Universal Pictures uscita venerdì 21 ottobre 2011.

Locandina Paranormal Activity 3
Com’è precipuo della fortunata saga, attraverso un montaggio di filmati amatoriali si passa in rassegna la travagliata infanzia di Kati e Kristi, le protagoniste adulte dei precedenti capitoli. Nel 1988, le due bambine fanno quello che è proprio della loro età: giocano, si azzuffano, campeggiano in giardino. Fino a quando alcuni inspiegabili rumori spingono Dennis, il compagno della madre Julie, a sistemare delle videocamere in alcune stanze della casa: Kristi, la più piccola, ha un amico non così immaginario che si fa sempre più invadente. Invece di procedere in avanti, il fortunato franchise derivato da Paranormal Activity, falso documentario in salsa horror diretto nel 2007 da Oren Peli, è costretto a camminare all’indietro da conclusioni che non ammettono ulteriori sviluppi narrativi. Considerato il successo di cassetta ottenuto, nel 2010 i produttori si sono permessi un secondo film, con l’efficace regia di Tod Williams, retto dagli imperativi del prequel in cui si spiegava il come e il perché la storia avesse avuto inizio. Idea non troppo innovativa, ma efficace anche per questo nuovo riavvio nel passato – tecnicamente si tratta del prequel di un prequel – dove la grammatica degli spaventi non risulta quasi per nulla mutata. Sebbene questo particolare meccanismo operativo “à rebours” sia più o meno obbligato, la sua pratica stigmatizza in maniera precisa una delle costanti di molto cinema dell’orrore contemporaneo: la spiegazione a tutti i costi, il falso mito delle origini. Sia per mancanza di idee o per giocare commercialmente la facile carta della notorietà di un marchio con buon numero di spettatori assicurati, ormai da anni il genere abbonda di beginning e reboot, prequel e spin-off che finiscono con l’abbattere ciò che davvero spaventa: l’indefinito, quello che non si deve sapere; ne consegue una messa in scena spesso condotta sul filo dell’esercizio di stile in cui la paura non può che essere epidermica. Per questo la regia a quattro mani di Ariel Schulman e Henry Joost, pur attenta a creare tensione, non può muoversi più di tanto dai paletti imposti da una sceneggiatura che mira alla coesione con gli altri capitoli. Ancora, un uso piuttosto creativo del fuoricampo – decisamente buona l’idea della videocamera settata sulla base di un ventilatore girevole a svelare inesorabilmente due punti di vista – insieme agli imprevisti agguati di bambinesca memoria conducono la sfortunata famiglia verso una soluzione del mistero con qualche assonanza con la conclusione di L’ultimo esorcismo. In definitiva si tratta di un gioco, spesso riuscito nella sua volontà di suscitare spavento, che conferma lo stato poco florido in cui versa l’horror americano.

Shame

Un film di Steve McQueen. Con Michael Fassbender, Carey Mulligan, James Badge Dale, Nicole Beharie, Hannah Ware. Drammatico, durata 99 min. - Gran Bretagna 2011. - Bim uscita venerdì 13 gennaio 2012. - VM 14

Locandina Shame
Brandon ha un problema di dipendenza dal sesso che gli impedisce di condurre una relazione sentimentale sana e lo imprigiona in una spirale di varie altre dipendenze. Nulla traspare all’esterno: Brandon ha un appartamento elegante, un buon lavoro ed è un uomo affascinante che non ha difficoltà a piacere alle donne. Al suo interno, però, è un inferno di pulsioni compulsive. Va ancora peggio alla sorella Sissy, bella e sexy, ma più giovane e fragile, la quale passa da una dipendenza affettiva ad un’altra ed è sempre più incapace di badare a se stessa o di controllarsi.
Dopo aver colpito indelebilmente gli occhi di chi ha visto il suo primo film, Hunger, colpevolmente non distribuito in Italia, il videoartista britannico Steve McQueen richiama con sé Michael Fassbender come protagonista di Shame, un film che è altrettanto politico, nelle intenzioni, per quanto non lo sia esplicitamente nel soggetto (com’era invece per la vicenda di Bobby Sands).
Alla prigionia del carcere, dove l’uomo è privato di tutto, si sostituisce qui una trappola mentale altrettanto incatenante e umiliante, favorita paradossalmente dalla libertà di potersi comprare tutto e subito: una escort, una stanza d’albergo o un film. È l’altra faccia della società “on demand” quella che McQueen racconta in questo dramma privatissimo solo all’apparenza, venato di una tristezza senza freni. La nudità di Fassbender, che apre il film, è soprattutto una condizione figurata e quando, man mano che il minutaggio avanza, l’interpretazione dell’angoscia si fa più dichiarata e arrivano le lacrime e le contorsioni, si ha quasi l’impressione che non aggiungano molto ma diano solo più senso a quelle prime sequenze, che già contenevano tutto.
Meno straordinario di Hunger, più imploso e grigio (non solo nella pigmentazione), Shame conferma la grande capacità di McQueen nella scelta delle inquadrature, il suo lavoro singolare sul sonoro, la poetica dell’accostamento di bellezza e brutalità, qui meno evidente ma non meno presente. Ma un grande dono viene senza alcun dubbio al film dal contributo di Carey Mulligan, che presta la sua bravura al personaggio tragico di Sissy e al suo sogno senza fondamento di un “brand new start”, di poter ricominciare da capo lì a New York perché, come canta in una sequenza da brivido, “if I can make it there I’ll make it anywhere”. Ma è vero soprattutto il contrario.

La chiave di Sara

Un film di Gilles Paquet-Brenner. Con Kristin Scott Thomas, Mélusine Mayance, Niels Arestrup, Frédéric Pierrot, Michel Duchaussoy. Titolo originale Elle s'appelait Sarah. Drammatico, durata 111 min. - Francia 2010. - Lucky Red uscita venerdì 13 gennaio 2012.

Locandina La chiave di Sara
Julia Jarmond è una giornalista americana, moglie di un architetto francese e madre di una figlia adolescente. Da vent'anni vive a Parigi e scrive articoli impegnati e saggi partecipi. Indagando su uno degli episodi più ignobili della storia francese, il rastrellamento di tredicimila ebrei, arrestati e poi concentrati dalla polizia francese nel Vélodrome d'Hiver nel luglio del 1942, 'incrocia' Sara e apprende la sua storia, quella di una bambina di pochi anni e ostinata resistenza che sopravviverà alla sua famiglia e agli orrori della guerra. Impressionata e coinvolta, Julia approfondirà la sua inchiesta scoprendo di essere coinvolta suo malgrado e da vicino nella tragedia di Sara. Con pazienza e determinazione ricostruirà l'odissea di una bambina, colmando i debiti morali, rifondendo il passato e provando a immaginare un futuro migliore.
La Shoah è un argomento pericoloso dal punto di vista artistico. Si tratta di una tragedia così traumatica e indicibile da renderla di fatto irrappresentabile. Eppure il cinema si è misurato infinite volte con questo soggetto storico tentando approcci 'esemplari' con Il pianista di Polanski o Schindler's List di Spielberg, sperimentando sguardi morbosi con Il Portiere di notte, osando quello favolistico e 'addolcente' con La vita è bella e Train de vie. Ci ha provato con la stessa urgenza e serietà il cinema documentario fallendo ugualmente l'intento di avvicinare la realtà della Shoah. A mancare troppe volte e nonostante le migliori intenzioni sembra essere una maggiore coscienza storica e morale.
La chiave di Sara non fa eccezione, riducendo la dismisura dell'orrore a una semplice funzione narrativa, preoccupandosi di comunicare, piuttosto che capire, quanto accaduto. Trasposizione del romanzo di Tatiana de Rosnay, La chiave di Sara aderisce al dramma interiore della bambina del titolo raddoppiandone il senso di colpa ed esibendo un gusto per l'iperbole che lascia perplessi.
Se il film di Gilles Paquet-Brenner ha l'indubbio merito di recuperare un evento storico dimenticato e di fare luce sul rastrellamento del Vélodrome d'Hiver, sui campi di smistamento e di concentramento, sulle delazioni e sulle responsabilità francesi, facendo tutti (poliziotti, funzionari e civili) compartecipi di un errore e di una mancata presa di coscienza, nella realizzazione pecca di didascalismo e ridondanza. Inopportuni i rilanci narrativi (nel film è Sara a chiudere il fratellino nell'armadio) per rendere la vicenda ancora più emozionante. Al di là della buona volontà e dell'obiettivo storico-didattico l'impressione è che il regista abbia sfruttato le componenti più tragiche della vicenda dissimulandole dietro lo sguardo gentile di Kristin Scott Thomas e quello ruvido di Niels Arestrup, che provano con le loro misurate interpretazioni ad arginare un diffuso bozzettismo emozionale. Una tale semplificazione conduce a una banalizzazione del male, la cui sola prerogativa è quella di mettere in risalto la superiorità del bene.
La chiave di Sara, sospeso tra un passato mai esaurito e una contemporaneità in divenire, rimette innegabilmente in discussione un deplorevole momento della vicenda nazionale, ma con altrettanta evidenza si stacca dalla verità dei documenti, contagiandola con le 'contraffazioni' dell'entertainment e il sentimento popolare, troppo incline agli amarcord e poco alla Memoria.

Underworld: La ribellione dei Lycans

Un film di Patrick Tatopoulos. Con Michael Sheen, Bill Nighy, Rhona Mitra, Steven MacKintosh, Kevin Grevioux. Titolo originale Underworld: Rise of the Lycans. Horror, durata 92 min. - USA 2009. - Sony Pictures uscita venerdì 20 febbraio 2009.

Locandina Underworld: La ribellione dei Lycans
Un millennio prima degli scontri raccontati in Underworld e Underworld: Evolution ha origine l'eterna lotta tra vampiri e lupi mannari. La storia d'amore tra Sonja e Lucian, la furiosa opposizione del temibile Viktor e l'affermazione dell'autonomia dei licantropi dalla schiavitù impostagli dai vampiri sono ciò che poi porterà agli scontri più moderni.
Nati quasi per caso come frutto di una particolare evoluzione e fioriti a partire dalla volontà dello stesso Viktor di avere una guardia personale che fosse più potente e controllabile dei semplici lupi, i licantropi acquistano autonomia guidati da Lucian, l'amante proibito di Sonja e il guerriero mitico che ha dato il via all'eterna lotta.
Il sottotesto è shakespeariano al massimo: due amanti appartenenti a due casati opposti (addirittura a due razze opposte), la cui unione è talmente proibita da far rischiare loro la morte se venissero scoperti, lottano contro il potere (rappresentato dal padre della donna) per affermare il proprio amore eterno. Ci sono echi da Giulietta e Romeo, ma sono appunto solo echi. Sebbene la struttura dell'intreccio, cioè la causa scatenante la trama possa infatti essere quella, non si può dire lo stesso per i significati. La storia d'amore proibita non è usata come strumento di affermazione poetica contro la prosaicità politica ma come mcGuffin, cioè come pretesto narrativo per far scontrare buoni contro cattivi. È una storia d'amore proibito ma ai fini del film poteva essere qualsiasi altra cosa e poco sarebbe cambiato.
La cosa sarebbe anche accettabile se il film riuscisse a evocare sul serio un altro mondo sotterraneo e affascinante, basato non sulla classica mitologia fantasy ma su quella horror. Un film con personaggi dell'orrore che non è dell'orrore ma è d'avventura, l'idea è stimolante ma vedendo il film si ha l'impressione che tutte queste costruzioni siano più nella mente di chi vede che in quella di chi fa il film.
Lasciato in mano ad un tecnico (Patrick Tatopoulos, per anni supervisore agli effetti speciali) il terzo episodio della saga di Underworld, con il pretesto di dare una motivazione a tutto ciò che si è visto negli altri film, finisce per dare vita a un spettacolo che non guizza nemmeno per capacità di intrattenimento e che riduce figure eversive e quasi anarchiche come vampiri e licantropi alle ennesime incarnazioni dei facili principi manichei di libertà e oppressione come li intende Hollywood.

Io non ho paura

Un film di Gabriele Salvatores. Con Diego Abatantuono, Dino Abbrescia, Aitana Sánchez-Gijón, Giuseppe Cristiano, Mattia Di Pierro Drammatico, Ratings: Kids+13, durata 95 min. - Italia 2003.

Locandina Io non ho paura
Dal romanzo di Niccolò Ammaniti. Michele, dieci anni, vive in un paesino, anzi, proprio quattro case, della Basilicata. Con la sorella più piccola e altri amici scorrazza in bicicletta nelle stradine in mezzo al grano. A casa c’è la mamma e il papà fa il camionista, ed è uomo “tutto core”. Incuriosito da una porta di lamiera vicino a una casa diroccata, Michele la apre e vede un buco, e in fondo un piede che esce da una coperta. Dopo lo spavento iniziale torna sul luogo e scopre che quel piede appartiene a un bambino come lui, biondo e delicato, quasi cieco per il buio, ridotto a una larva. Non riesce a immaginare un rapimento. Nelle successive visite gli porta da mangiare, gli parla, gli ridà una speranza. La televisione racconta di questo Filippo rapito a Milano. Così Michele capisce. Arriva a casa tale Sergio (Abatantuono), il “milanese” che tira le fila. Tutta la famiglia è implicata. Ma il cerchio si stringe, gli elicotteri girano. Il panico sopraggiunge. Occorre sopprimere l’ostaggio. Michele corre per salvarlo. Riesce a spingerlo fra i campi, sopraggiunge il padre "tutto core" che non esita a sparare al bambino, che però è Michele. Gli elicotteri dei carabinieri illuminano il milanese con le braccia alzate, il padre col figlio in braccio e il piccolo Filippo che si è salvato.
Dopo un’apnea di molti anni, dopo aver davvero smarrito la strada maestra (complice un Oscar sproporzionato che gli aveva fatto perdere le misure) con una serie di film superflui e senza destino, ecco che Salvatores torna a “raccontare” e lo fa davvero bene. Le lunghe scene di preparazione e connessione al fatto centrale, suggestive e soleggiate, non debordano. Il grano e il cielo, gli animali e le colline, tutto concorre alla storia. E’ un meridione che non è quasi Italia, ma è mondo. Per salvare il suo amico, Michele corre nella notte, mormora a se stesso una favola e un sortilegio, intorno la civetta cattura un topo, un piccolo serpente assiste dal suo sasso. Cinema finalmente. Ed è importante per noi, da anni così disperatamente poveri e grigi, e allineati. E’ un bel segnale, parallelo a quello della Finestra di Fronte. Entrambi i film hanno avuto il riconoscimento del Ministero dei Beni Culturali. Che davvero stia succedendo qualcosa?

Billo - Il Grand Dakhaar

Un film di Laura Muscardin. Con Thierno Thiam, Susy Laude, Marco Bonini, Paolo Gasparini, Carmen de Santos. Commedia, - Italia, Senegal 2008. - Achab Film uscita venerdì 19 settembre 2008.

Locandina Billo - Il Grand Dakhaar
Thierno s'imbarca dal Senegal alla volta dell'Italia con il sogno di lavorare nella moda. Ha un diploma di sarto, una bella cugina che ha promesso di aspettarlo e divenire sua sposa e la benedizione del marabout, il suo maestro di corano e di vita. Sbarcato a Roma ne passerà di tutti i colori, finirà in carcere per presunto terrorismo e perderà il lavoro per presunte molestie, fino a che troverà l'amore di Laura, né presunto né incerto, ma proprio nel momento in cui la famiglia lo reclama in Africa per le promesse nozze.
Billo, Il Grand Dakhaar , opera seconda di Laura Muscardin che esordì nel 2001 con "Giorni", si regge interamente sulle spalle di Thierno Thiam, l'attore senegalese che ha ispirato il racconto del film e che rivive le proprie peripezie sullo schermo con lo sguardo quasi ingenuo del bravo interprete e l'entusiasmo di chi, mentre recita, sta già realizzando un sogno.
La regista mescola bene le carte, la stagione romana e quella africana del protagonista procedono parallele ma sfasate nel tempo per incontrarsi nel punto in cui Thierno detto Billo, se ancora non ha capito del tutto i costumi occidentali, non riesce comunque più ad accettare gli usi africani, e allora, finalmente, si fa strada il quesito irrisolvibile dell'identità ed esplode la tragicommedia.
Evidente metafora della volontà di "mettersi nei panni dell'altro", il lavoro sartoriale di Billo porta con sé il senso di un'integrazione tutta da creare, di legami da "cucire" e riparare, e colora con l'estro delle vesti una pellicola povera (di mezzi) ma mai piagnucolosa.
Un po' Mork e Mindy – per la tenerezza di Laura/Susy Laude - e un po' E allora Mambo, il film sposa in patria l'estetica della commedia italiana (amichevoli partecipazioni di Lella Costa e Rolando Ravello comprese) e nelle scene africane i tempi e i modi del cinema africano, realizzando un'integrazione audiovisiva di fatto che è la sua principale ragione di piacere e d'interesse. "Borom Gaal", l'arrangiamento ad opera di Youssuo N'Dour del "Barcarolo romano" di Romolo Balzani, con tanto di caso diplomatico connesso (per un errore il musicista senegalese registrò inizialmente il pezzo in Siae a proprio nome), non è, infine, che la perfetta metonimia dell'operazione nel suo complesso.
Appesantito da una narrazione troppo preoccupata della sequenzialità cronologica e da uno stile un po' timido, che scansa la commedia tout court ma per scelta non solleva mai il dramma, Billo è una favola moderna, un'avventura picaresca fatta di incontri e di insidie, dove i sentimenti sono sinceri e i problemi non finiscono mai. Tanto meno con la fine del film.

Amici di letto

Un film di Will Gluck. Con Justin Timberlake, Mila Kunis, Emma Stone, Woody Harrelson, Patricia Clarkson. Titolo originale Friends with Benefits. Commedia rosa, Ratings: Kids+16, durata 109 min. - USA 2011. - Sony Pictures uscita venerdì 14 ottobre 2011.

Locandina Amici di letto
Jamie e Dylan hanno rotto con i rispettivi partner. Per Dylan ricominciare può sembrare facile: gli è stato offerto di lasciare Los Angeles per New York dove potrebbe diventare art director del magazine GQ. La cacciatrice di teste che lo ha contattato è Jamie. Dylan viene assunto e Jamie otterrà un bonus supplementare se lui non lascerà il lavoro almeno per un anno. I due fanno amicizia e si rivelano le reciproche disillusioni amorose. Decidono così che sia possibile, se c'è la chimica giusta, fare sesso quando ne avranno voglia senza alcun tipo di coinvolgimento sentimentale. La chimica c'è e i due scoprono di desiderarsi fisicamente. Potranno riuscire a fare in modo che la loro relazione resti stabilmente solo a quel livello?
Hollywood ( n questo film potrete assistere a un uso insolito dell'enorme scritta sulla collina che sovrasta L.A.) sembra aver trovato un nuovo filone nel tentativo di rivitalizzare la romantic comedy: gli amici che fanno sesso. Nel giro di pochi mesi abbiamo visto Amore & altri rimedi e Amici, amanti e.... Amici di letto si aggiunge alla lista e non è detto che sia l'ultimo della serie. Idee iniziali come quella che ci viene proposta in questa occasione farebbero la gioia dei fratelli Farrelly che ne trarrebbero una storia scorretta e sopra le righe al punto giusto. In questo caso invece Justin Timberlake e Mila Kunis si muovono su un terreno minato e ambiguo. E' come se gli sceneggiatori stessero ancora cercando la taratura del filone. Perché la prevedibilità in relazione al finale non può non essere in linea con quanto ormai sedimentato dalle romantic comedy alla Nora Ephron. Al contempo però è necessario inserire quel tanto di paprika che renda il prodotto appetibile per un pubblico più smaliziato. Accade così che la prima parte si presenti come disinibita al punto giusto sul piano verbale (su quello visivo le lenzuola con funzione coprente abbondano) facendo sì che lo spettatore possa sperare in una variazione su quello che sta ormai diventando un tema. Purtroppo però le aspettative di novità finiscono con il cedere il passo agli sviluppi consueti. Ivi compresa la malattia di uno dei personaggi che entrano in gioco quasi che il disagio fisico e l'empatia che può derivarne dovessero servire quale foglia di fico per coprire le volgarità iniziali. In definitiva speriamo in qualcuno che osi di più anche se va riconosciuta la consapevolezza del regista Will Gluck il quale dichiara esplicitamente (con il film al glucosio che Jamie e Dylan guardano insieme) di essere consapevole delle costrizioni a cui lo script è sottoposto. Tanto che chi avrà la pazienza di vedere scorrere lunghissimi titoli di coda assisterà a un piccolo sberleffo finale in materia.